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lunedì 31 marzo 2014

Recensione: Steve Rodney McQueen - 12 anni schiavo

Questo film è tratto dall'autobiografia di Solomon Northup, scritta nel 1853. Mi ci sono accostato per curiosità, più che per fama.



Trama: Il film narra le vicende di Solomon Northup nel periodo immediatamente prima la guerra di secessione. Solomon è un uomo di colore, libero. Vive con la sua famiglia a Saratoga Springs, nello stato di New York. Ottimo violinista, cede all'offerta di ingaggio di due falsi agenti di spettacolo che lo venderanno come schiavo nelle piantagioni di cotone della Louisiana, sotto la guida dello schiavista Edwin Epps.
Da quel momento in avanti, Solomon rimarrà schiavo per dodici anni, cambiando più volte padrone e subendo ogni tipo di maltrattamento fisico.

Analisi: Questo è uno di quei film da vedere almeno una volta nella vita. Non si tratta di schiavismo fine a se stesso. Non è un film che accusa i bianchi, almeno, non dà quest'impressione. La parte interessante riguarda tutto ciò che accade a livello emozionale e sentimentale. Esiste una giusta dose di persone buone e di persone cattive, per dirla in termini semplici.  Ci fa comprendere come, durante lo schiavismo, esistessero comunque persone che guardavano a tale scempio come qualcosa di orribile, ignorante e senza alcun senso.
Mi ha ricordato da lontano Il colore viola di Steven Spielberg, anche se il pathos, bisogna ammetterlo, lo si ritrova in misura minore.

Consiglio questo film a tutti, perché è uno dei pochissimi, oggi in circolazione, in grado di fornire un punto di vista assolutamente neutrale ed equilibrato su ciò che è stato il razzismo e soprattutto lo schiavismo nell'America di metà '800.


mercoledì 26 marzo 2014

Ruggine

Una volta
vidi
un mio amico
intingere l'ago
in un
cucchiaio
pieno
di lacrime.

Dovette
raccoglierne
molte.

Non so
se avessero
tutte
lo stesso
sapore.

Ora,
quando guardo
le sue mani sporche
e le sue unghie nere,
penso:
piuttosto
che raccogliere
incubi
lascio che mi
si arrugginisca
la lingua.

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

mercoledì 12 marzo 2014

Coltivare

Ho imparato
a distruggermi
e rimontarmi,
ogni giorno.

Perché
per inseguire
il mondo
è necessario
sradicarsi
da se stessi.

Ho preso
il mio cuore
fra le mani,
e tra tutti
i suoi battiti
ho scelto
quello
più rosso.

L'ho lasciato
cadere,
sperando
di poterlo
coltivare
dentro di te.

Adesso chiedi,
domandami
se fra tutte
le smorfie,
i grugniti,
e le lacrime
non esiste
un collegamento
con i capricci
della terra.

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

martedì 11 marzo 2014

Tregua

Chiedo al tempo
un po' di tregua.

Gira così veloce
che si dimentica
di chiudere
la porta
quando se ne va.

E mi rimane dentro;
scalcia, cresce
e si divincola
come un bambino
malformato.

Ma la mia
natura
non mi
consente
di partorire.

E quindi,
me lo devo
portare dentro
come un grumo
secco e piatto,
come un estraneo
che sa
quanto è
profondo
il mio cadavere.

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

domenica 9 marzo 2014

Il mito di Aristofane

Credo che un sogno del genere l'abbiano fatto tutti, più o meno. Ancora non riesco a dargli un senso, una connotazione.

Mi trovavo in cucina, davanti ai fornelli. La casa era incredibilmente silenziosa e ogni cosa era al suo posto; i mobili, il lettore dvd, la televisione, la chiave di casa che ciondolava dalla serratura.
Il sole era caldo e i raggi si distendevano lungo il pavimento come tante linee rette segnate col pennarello fosforescente.
Dovevo chiudere gli occhi o tenere la testa alzata per poterlo guardare.
Di fronte a me c'era il lavabo. Era pieno d'acqua grigia e sapone fino all'orlo. Mi avvicinai. Non c'erano rumori, non sentivo i miei passi sulle mattonelle bianche o lo sciabordio dell'acqua lungo i bordi del lavabo.
Era come se fossi sordo, sordo e muto dalla nascita. Dico questo perché, in una certa misura, nel sogno sapevo di non poter parlare o ascoltare.
Infilai le mani nell'acqua, era calda, tiepida al punto giusto.
Ciò che trovai strano, però, era la profondità. Sembrava non finire mai.
Proprio mentre i gomiti cominciavano ad affondare, sentii qualcosa.
Era un braccio, un braccio sottile quanto il mio - non faccio molta palestra, lo ammetto.
Lo afferrai con entrambe le mani e notai subito che aveva qualcosa di strano, o meglio, mi procurava la stessa sensazione che si ha quando il braccio si addormenta sotto il cuscino; è qualcosa di tuo, è attaccato al tuo corpo, eppure non lo senti, ti sembra solo un peso che hai paura di rompere.
Tirai su tutto, lentamente.
Dopo pochi secondi emerse una testa con un mucchio di capelli castani sparpagliati sopra.
Subito dopo vidi il volto: era uguale al mio.
Non mi spaventai nemmeno un po'. Anzi, sentivo di dovermi prendere cura di questo mio clone - per modo di dire.
Aveva gli occhi sbarrati, fissi in un angolo della casa. Il viso non mostrava segni d'invecchiamento, ero io - probabilmente - a quindici o sedici anni. Nella mano sinistra reggeva qualcosa di pesante e scuro.
Lasciai per un attimo il suo corpo e tirai fuori quell'oggetto. Era una pistola, uno di quei modelli molto simili alle Glock diciassette. Tutta nera.
La raccolsi.
Guardai il pavimento, la luce riflessa e mi chiesi, senza pensarci: "Quanto dolore potrei provare nel ricevere una pallottola in mezzo alla tempia? L'avrei sentito, il dolore?"
Poi mi voltai di nuovo verso il mio clone. Stava di nuovo affondando, con gli stessi occhi sbarrati - non chiudeva mai le palpebre e potevo sentire il battito del suo cuore - nella stessa posizione di prima.
Lo tirai fuori dall'acqua una volta per tutte e mentre lo trascinavo lungo il pavimento, le sue gambe cominciarono a risucchiare i peli. Era nudo, totalmente. Così mi tolsi una camicia di flanella a scacchi rossi, bianchi e blu che avevo addosso e gliela misi attorno alle spalle allacciando tutti i bottoni con cura.
Cominciai a camminare verso la camera da letto e più mi avvicinavo, più questo mio clone ringiovaniva, perdeva i peli sul petto, sulle braccia, attorno alle mascelle.
Cominciarono a crescergli i capelli. Ero sempre io, ma con il corpo di una donna e avevo deciso di farci l'amore.
Di lì a qualche secondo, proprio mentre cominciavo a sbottonargli la mia camicia, mi svegliai.

Rosso vermiglio

Non è semplice
appendere
il cuore
al petto
di un'altra
e vederlo
sanguinare.

Se ci penso,
mi sento
come
una tartaruga
presa
a martellate
sul guscio.

Si smette
di gocciolare
solo quando
si è
sottoterra.

Lo fanno
le piante
con la rugiada,
il vetro
con la sua
condensa.

E quello che mi
chiedo quando
la guardo è:

Sto ancora
sanguinando?

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

venerdì 7 marzo 2014

Recensione: Jean-Marc Vallée - Dallas Buyers Club

Essendo un reduce del telefilm Breaking Bad - capolavoro assoluto a mio parere - non potevo non cimentarmi nella visione di un altro film che di verità e dinamiche fra bene e male ne ha da vendere per tutti.



Trama: Tratto da una storia vera, il film narra la vicenda di uomo di origini texane - Ron Woodroof - dedito a una vita di sregolatezze fra donne, alcool e droga. Un giorno, senza saperne nulla, scopre di aver contratto il virus dell Hiv e da quel momento la sua vita prende una piega diversa. Siamo negli anni '80, più precisamente nell'arco di tempo che va dal 1985 al 1988. Il virus dell'Aids si espande, è sconosciuto, fa paura e si crede che solo tossici e omosessuali possano contrarlo.
Gli viene dato un mese di vita. Sente parlare di un farmaco ancora in fase di studio, l'AZT.
Non essendo Ron incluso nel programma di sperimentazione, decide di procurarselo da solo. Non conoscendo natura e dosaggi del farmaco, in poco tempo rischia di morire e finisce per ritrovarsi in un ospedale in Messico, gestito da un medico radiato dall'albo che gli offre una cura alternativa a base di Peptide T, una proteina innocua, ma non approvata dalle case farmaceutiche.
Tre mesi dopo Ron si è ripreso, si sente meglio e decide quindi di importare illegalmente la cura negli Stati Uniti. Si apre così un giro d'affari nei quali i farmaci e i cocktail scoperti dal medico in Messico, vengono importati e somministrati ai malati gratuitamente tramite l'associazione che Ron, con l'aiuto di Rayon - una transgender anche lei malata - ha costituito: la Dallas Buyers Club. Sotto un corrispettivo di 400 dollari di iscrizione alla sua associazione, Ron fornisce tutti i farmaci che riesce a procurarsi oltre il confine. Ma non sarà una cosa facile.

Analisi: Non c'è molto da dire in realtà. Il film, attraverso soprattutto la splendida recitazione di Matt McConaughey, è fin troppo eloquente. Più che l'attività di Ron - il protagonista - viene messa in luce la lenta burocrazia e il giro d'affari che le case farmaceutiche sono in grado di mettere in atto pur di incrementare i loro profitti.
Non siamo davanti a un docufilm d'accusa, ma a una semplice storia di un malato terminale di Aids che decide di non seguire la corrente, di non sottomettersi alla voce principale.
Ron Woodroof è l'esempio di come l'accademia non sia sinonimo di sicurezza. Tutto il film è un esempio di come l'ingerenza capitalista è in grado di arrugginire gli ingranaggi di un sistema che altrimenti potrebbe funzionare con maggiore efficienza.

La domanda che ci si pone alla fine è: Siamo nelle mani di chi?

Possiamo veramente dire di essere al sicuro? Di avere uno stato, un governo, un gruppo di persone da noi elette, in grado di proteggerci?
Un tema sempre attuale, in un periodo in cui la crisi economica non dà più alcuna certezza. 
Ma come ci siamo finiti qui?
Anche questa è una delle molte domande che ci si pone. 
Una casa farmaceutica, un imprenditore, una multinazionale è veramente in grado di spingere l'economia di una nazione a suo piacimento e nella direzione che vuole per sè?

La risposta a voi che leggete.



Radici

Mi piacerebbe
crescere
come fanno
le radici degli alberi.

Loro non cercano
la luce.
Non hanno ambizioni.
Si allontanano
e basta.

Affondano
nel terreno
e aiutano chi
nella luce
ci è già nato.

Non voglio
le nuvole.

Datemi
un precipizio,
forse meglio
una gola.
Mi ci butterei
subito.

Sono curioso
di sapere
quanto
sono
profonde
le lacrime
che mostrate

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

giovedì 6 marzo 2014

Dove finisce il tuo cammino?

Questo sogno lo feci pochi mesi fa. Avevo superato alcuni problemi, alcune situazioni difficili nelle quali non c'entravo nulla, ma ero stato - come dire - tirato dentro contro la mia volontà.

Ero in macchina da solo. L'autostrada ricordava la Milano-Torino. Si vedevano le colline, le montagne sassose affacciavano sulla strada e sopra di loro c'era una fila interminabile di cipressi. 
Quegli alberi crescevano e mettevano radici enormi e lunghissime che sbucavano dalla pietra e ricadevano dentro come tentacoli. 
Guardavo continuamente verso l'alto, non guidavo io, probabilmente.
Non sentivo rumori, nemmeno il borbottio della macchina che cambiava marce, accelerava e rallentava. La strada era deserta.
Mi sentivo sereno, come se avessi appena finito di piangere.
Aguzzando la vista, fra i cipressi ne notai uno che aveva una parte del tronco bruciata, una bruciatura vecchia.
Tutta la parte intorno era priva di rami e foglie, come se ci fosse caduto sopra un fulmine la sera prima.
La stessa cosa la vidi su uno dei cartelli stradali che dicevano di proseguire dritto. C'era una macchia scura e l'angolo in alto a destra era stato ridotto in cenere.
Mi preoccupai e cercai subito di dare una controllata al cielo, ma era completamente azzurro e il sole spiccava come una pallina da tennis incandescente.
Man mano che andavo avanti, gli alberi diventavano sempre più alti, chiudendosi e formando una strada sterrata.
Da lontano, sopra un'enorme montagna di pietra, c'era un faggio delle dimensioni di un grattacielo alto almeno cento piani. 
Le sue radici scendevano come una cascata di capelli, abbracciando tutta la montagna.
Anche lì, fra le sue radici, ne trovai una bruciata, nera e con una voragine enorme al suo interno. Ma, guardando il cielo per l'ennesima volta, tutto era chiaro e limpido. 
Fermai la macchina.
In alto, proprio sul cucuzzolo di quella montagna c'era una casa. In qualche modo sapevo che solo chi ci abitava, sapeva come raggiungerla.
Mi arrampicai fra le radici del faggio. Erano calde, umide e respiravano. Si gonfiavano e sgonfiavano come il respiro di un bambino.
Ero sicuro che non mi sarebbe successo nulla di grave. Era come se quel posto fosse mio, lo avessi comprato io e lo conoscessi perfettamente.
Entrai nella voragine.
Era buio, ma non faceva freddo e non era nemmeno umido. Camminai verso una luce simile a quelle che emettono le abat-jour: calda, dolce e colorata come il miele.
Mi ritrovai in una casa, quella casa.
La prima cosa che vidi fu mia moglie. Aveva qualcosa di diverso nel viso. I capelli erano lisci e legati in un coda semplice. Le rughe attorno agli angoli alti delle labbra erano più spesse. I lineamenti lungo gli zigomi, accentuati.
Le donavano un'espressione seria, vissuta. In quel momento feci mente locale. Ero circa vent'anni più vecchio, ed eravamo sposati. Lei lavorava per un'azienda farmaceutica e la casa l'avevo voluta comprare di proposito sopra una montagna, per sentirmi e sentirci più sicuri.
A lei piaceva, ma si lamentava delle difficoltà che incontrava nel raggiungerla.
Poi mi prese per mano, senza che me ne rendessi conto. Disse di dovermi far vedere una cosa.
Mi portò in un corridoio lunghissimo, tappezzato di moquette blu e bianca. Alla fine di quel corridoio c'era una porta e dietro potevo sentire un gran vociare.
Mia moglie si fermò dietro di me e disse: "Aprila quando tutto finirà".
Mi sedetti sul pavimento. Ebbi l'impressione che intorno a me il tempo stesse girando più velocemente. Mi guardai le mani, stavano diventando rugose e rigide.
Mi alzai, sentii un dolore tremendo alla schiena, nella zona lombare. Aprii la porta e quello che vidi furono due bambini - un maschio e una femmina - corrermi incontro.

"La grotta dei sogni è la fine di un tunnel nel quale il Bruco cataloga e ripone tutti i suoi sogni, quelli belli, fantasiosi e sereni".


mercoledì 5 marzo 2014

Smeraldo

L'opaco discende
la montagna,
si sofferma
sul finire del mattino.

E' una piaga solitaria
la mia.

Una di quelle
in cui
amalgami te stesso
nella speranza
di non essere
labile.

Prosciugo il suo
letto di foglie verdi,
spalmo il suo olio
sulle gengive.
Genera
polluzioni mentali,
stelle artificiali
lanciate in quel
vischio palpitante.

E tutto finisce
in un sipario
senza ritorno.
E io rimango lì,
in ginocchio,
con le mani fra
i capelli.
Aspettandola
come un'antica
gioia
senza eternità.

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

Recensione: Tim Burton - Big fish

Big fish è uno di quei film che bisogna vedere almeno una volta nella vita. Io l'ho trovato andando a spulciare la biografia di Tim Burton - scomprendo, tra l'altro, che è tratto dall'omonimo romanzo di Daniel Wallace - e ne sono rimasto a dir poco folgorato


Trama: Questo film narra la storia di Edward Bloom, un padre e un marito di famiglia che ama raccontare il proprio vissuto mischiandolo alla sua fervida immaginazione.
Si passa dall'amico gigante - alto quasi cinque metri - a una strega con l'occhio di vetro, fino ad arrivare alla guerra e al leggendario pesce che nessuno può catturare.

Analisi: E' un film per tutti, su questo non ci sono dubbi. E a guardarlo bene, solo un regista così incline alle favole poteva girarlo.
Edward Bloom, interpretato da un eccellente Ewan McGregor (Trainspotting) ci porterà con lui in un viaggio alla scoperta del suo modo di vedere il mondo, quello che usano i bambini per intenderci, a testa in giù.
Ciò che emerge dai suoi racconti, però, è proprio la realtà: Edward Bloom racconta le sue esperienze, il modo in cui conquistò sua moglie fino alla nascita di suo figlio - le uniche due persone che nei suoi racconti rimangono totalmente reali - in maniera fantasiosa, come in una sorta di realismo magico o di viaggio onirico.
Un po' come quando si sogna: le azioni sono immaginarie, fantasiose, ma ricordano da vicino ciò che viviamo, proviamo e pensiamo.
E al centro di ogni cosa rimane il romanticismo, l'amore.
Il senso del film è proprio questo: l'amore rende reale qualsiasi cosa. E' uno dei tanti messaggi. Guardare al di fuori di noi sempre con gli occhi di un bambino, non lasciare che la fantasia scompaia nei problemi di lavoro, nello stress e nella routine. 
Per certi versi, lo stile ricorda da lontano un altro film, Vita di Pi. 
Il concetto di racconto e di raccontare assume un valore supremo, più importante della storia stessa. La vita è interessante - senza dubbio - ma la nostra mente, la nostra forza immaginifica, può renderla unica.

Non lo trovo un film drammatico. 

Al contrario, paradossalmente è in grado di narrare il concetto di esistenza per ciò che è: una lunga favola nella quale ognuno di noi è protagonista.


martedì 4 marzo 2014

Eros e Thanatos

È ancora lì quella stronza. Ancora lì a darsi da fare con quello scemo, mentre io devo starmene chiuso in questa stanza a nutrirmi del suo odore e dei suoi ricordi. Ormai sono tre settimane che ci esce.
Perché non mi considera? Dov'è che sbaglio?
Certo, non sarò un modello o un facoltoso uomo d'affari, ma lei è così giovane e io tremendamente assuefatto.
La conosco da una vita eppure, nonostante i nostri occhi si siano incrociati innumerevoli volte, non sono mai riuscito a penetrarli.
Preferisce la compagnia di quella specie di eunuco alle follie di un romantico come me.
Penso a lei, tutte le notti, in questa stanza. Non riesco a decifrare la percezione che nutro per il suo corpo.

Percorro il corridoio che porta al bagno. Le riviste porno le nascondo nel solito posto, all'interno dello scarico del cesso.
Quelle non osano tradirmi, mai.
Certo, di donne qui ce ne sono per tutti i gusti, ma la mia mano segue le sinuosità delle sue cosce. Cazzo, non riesco a togliermela dalla mente.
Quel patetico "ciao" prima di uscire, quel sorriso confezionato.
Giuro che quando torna l'ammazzo. Si! Così sarà solo mia, per sempre. Non mi frega di finire in galera e nemmeno cosa penseranno i miei di tutta questa storia.
Così voglio vedere chi ricatta, voglio vedere con quale scusa cercherà di frenare i miei istinti. Per quelli ormai non esiste controllo.
Ed è sempre stato così; io, lei, le giornate passate a letto.
- Se provi a fare il furbo lo dico a tutti, chiaro?
Sempre la stessa frase. Lo stesso gioco di parole e catene mentali. E' troppo piccola per me, questo lo so. Forse ho sbagliato, non dovevo lasciarmi andare in quel modo.

Non mi serve molto per macchiare di bianco le riviste che reggo sulle gambe. Le richiudo senza pulirle e mi tiro su i jeans. Non mi lavo nemmeno le mani. Non lo faccio mai.
Ogni sera, di solito, mi faccio una sega e le rifilo la mia poltiglia bianca fra il secondo e il dessert. Tanto non se ne accorge.
Tra pochi minuti sarà di ritorno, meglio prepararmi, la casa è vuota.
Mi affaccio alla finestra e osservo quella maledetta cinquecento parcheggiare davanti al viale. Da quando la vedo salire su quella scatoletta - quasi tutte le sere - odio il colore blu.
Pochi minuti dopo suona il citofono, è lei.
Apro senza risponderle e lascio la porta aperta. Assaporo ogni rumore che emette; dal cigolio fino ai suoi passi sul parquet.
- Ehi Robi, sei in casa?
Non le rispondo. Attendo dietro la porta della mia stanza. In silenzio. Lei la sorpassa lentamente e io sbuco subito dopo dalla soglia, afferrandola per i capelli.
La frenesia aumenta, le mascelle si serrano.
La mia mano libera aderisce alle labbra, sigillandogliele per sempre.
La trascino verso il bagno, il luogo più vicino. Sento l'odio vibrare attraverso le mie braccia.
Sbatto con forza la sua faccia sul bordo del lavandino. Una volta, due. Alla terza un rigagnolo vermiglio inizia a sgorgare dal suo naso. Continuo, non riesco più a fermarmi.
Le sue ginocchia cedono. Nel riflesso dello specchio vedo il suo sorriso spezzarsi sotto i miei colpi.
La lascio cadere sul pavimento. Un minuto dopo mi ricordo di respirare. Deglutisco l'aria viziata dai suoi odori. La divorerei se potessi.
Mi inginocchio. Ascolto gli ultimi battiti. Il suo respiro tramutato in piccoli rantoli soffocati. Avvicino le mie labbra al suo orecchio, le scosto delicatamente le ciocche bionde insanguinate.
- Visto sorellina? Te l'avevo detto che prima o poi l'avresti pagata.

"La grotta degli incubi è la fine di un tunnel nel quale il Bruco cataloga e ripone tutti quei sogni in cui la pace e la serenità sono bandite per legge".

Chiedilo alle stelle

Chiedilo alle stelle
che giorno è.
Io ho smesso di guardarle
da quando ho iniziato
a camminare.

Non è solitudine,
né vuoto.
Sono solo così stanco.

Mi piacerebbe
dimenticare il mio nome.
Arrotolare il passato
in un sacco di lana
calda
e nasconderlo
in fondo
all'armadio
delle favole.

Prenderei volentieri
una siringa
assieme a te.
Ma non ho mai capito
come si fa.

Tra il mio sangue
e il tuo piscio
riuscirei a vomitare
tutti quegli arcobaleni
che non sono stato
in grado
di mostrarti.

Si, chiedilo alle stelle
come mi sento.
Loro brillano
e io le invidio
perché,
nonostante tutto,
non sanno cosa sia
un sorriso.

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

domenica 2 marzo 2014

Recensione: Adrian Lyne - Allucinazione perversa - Jacob's Ladder

Questo film mi ha attratto non tanto per la trama, quanto per il ruolo che hanno i sogni - se così possiamo definirli - nella mente del protagonista.
Inutile dirlo, al Bruco piacciono certi film.



Trama: Il film narra la storia di Jacob, un reduce della Guerra del Vietnam laureato in filosofia che, una volta tornato dal conflitto, decide di smettere di pensare e intraprendere il lavoro di impiegato alle poste.
Divorziato dalla moglie Sarah, il loro matrimonio è stato portato alla rottura dalla morte del figlio Gabe, ucciso da un automobilista.
Jacob intraprende una nuova relazione con Jezebel e ricomincia a vivere una vita tranquilla. Un giorno, però, inizia ad avere strani flashback della guerra e, assieme a quelli, inquietanti allucinazioni di demoni e mostri.
Contemporaneamente il governo americano comincia a perseguitarlo, nel tentativo di fargli chiudere la bocca sugli avvenimenti relativi alla Guerra del Vietnam. Jacob decide allora di riunire alcuni commilitoni reduci anche loro dal conflitto e di contattare un avvocato per far luce sul'accaduto. Senza alcuna spiegazione, sia i compagni che l'avvocato, dopo un primo riscontro positivo, decidono di lasciare perdere, abbandonando Jacob ai propri demoni. Poco dopo viene contattato da un chimico: un'ex hyppie che cucinava Lsd ed era stato costretto dal governo statunitense - pena la galera - a produrre una droga, definita da lui stesso la Scala, in grado di rendere i soldati delle vere e proprie macchine da guerra senza umanità. Il chimico gli spiega ogni cosa e Jacob cade nello sconforto, perseguitato dalle visioni.
E' il suo fisioterapista, Louis, a regalargli l'unico spiraglio in grado di farlo tornare in sé. Louis spiega al protagonista il suo punto di vista sui demoni tramite la teoria di Eckhart, facendogli capire che è lui stesso a non voler lasciare andare la parte oscura di sé, le sue colpe e i suoi errori. E che questa sua scelta si tramuta in demoni e mostri.

Analisi: E' un film piuttosto biblico.
La moglie Sarah rappresenta il bene con i suoi capelli biondi, mentre Jezebel con i suoi - scuri - il male. Louis, il fisioterapista che arriva sempre nel momento del bisogno, viene definito da Jacob stesso il suo angelo custode.
Un film onirico, questo di Lyne, che esplora i risvolti e le ipotesi sul principio stesso della morte.
Qui non rappresenta una fine, rappresenta un purgatorio. Siamo noi a deciderne la scadenza. Siamo noi a decidere di non rimanere più legati alla vita.
In ognuno di noi esisterebbero il Paradiso così come l'Inferno.
Come in una bilancia, le nostre scelte possono far oscillare la nostra coscienza sia nell'uno che nell'altro. La volontà di essere, essere ed esistere nella parte giusta, dipende solo dalle nostre scelte e non da come affrontiamo l'ultimo grande passo.
Ognuno di noi potrebbe raggiungere la pace, se solo provasse a cercarla.
Da evidenziare come tutto l'avvenimento avvenga nel momento della morte di Jacob - colpito dalla baionetta di un suo compagno sotto effetto della Scala - mentre questi si trova ancora in sala operatoria, durante la guerra. A sottolineare che il mondo onirico sfugge alle regole dello spazio e del tempo.

sabato 1 marzo 2014

Chi sei tu?

Bugie d'inchiostro
frammenti di penna.

Realtà di plasma
e assenza di percezioni.

Indossi un manto
di ruggine
per non inaridire.

I tuoi occhi profumano
di pioggia,
e levigano
i sensi
come fiori
di balsamo.

Cielo rosso,
odore di sangue.

Chi sei tu?

Un addensarsi
di nuvole sorde
e raptus
estatici.

"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".

Nel giorno più buio

E passerò
inosservato
nel mondo.
Con gli occhi
tinti
di misericordia,
e un nastro blu
a sigillare
il mio addio.

Mi accosterò
a questi versi
come l’anziano
al proprio bastone,
e sarò il Gesù Cristo
nella solitudine
e nella miseria.

Non concederò
pietà a Dio
per i suoi peccati,
poiché fanno parte
del senso degli uomini.

Il mio ricordo
sarà un’ombra
che sussurrerà
ai cieli
parole di neve,
chiedendomi
quante vite
dovrò restituire
prima di poter
santificare
il mio nome.


"Gli spicchi di mela sono frammenti che il Bruco dimentica nelle sue gallerie. Qualche volta marciscono, qualche volta vengono ritrovati e altre volte si perdono per strada".